Sia la somatizzazione sia la conversione indicano la trasposizione sul piano somatico di un conflitto psichico; benché sovente impiegati in psichiatria in modo interscambiabile, in realtà, da un punto di vista psicodinamico, i due termini sottendono differenti schemi di formazione dei sintomi e assumono quindi significati diversi.
Il termine “conversione” è stato introdotto da Freud (1894) per denominare quel “salto dallo psichico all’innervazione somatica”, tanto facilmente riscontrabile nelle nevrosi isteriche quanto difficile da spiegare nei suoi meccanismi. Per Freud la conversione ha un significato economico e simbolico. La valenza economica risiede nel fatto che la libido distaccata dalla rappresentazione viene trasformata, convertita appunto, in qualcosa di somatico; “la conversione può essere totale o parziale e si realizza a carico di quella innervazione motoria o sensoria che risulta più o meno strettamente connessa con l’esperienza traumatica” (1894). La valenza simbolica è in relazione al fatto che i sintomi conversivi esprimono rappresentazioni rimosse, e uno stesso sintomo può esprimere più significati non solo nello stesso momento, ma anche in tempi successivi: “Col passare degli anni, il sintomo può modificare uno dei suoi significati, o il suo significato principale” (1892-1895). Da questo punto di vista, come ha detto Furlan (1997), “la conversione pare essere non soltanto il mascheramento o la trasformazione simbolica del conflitto ma anche l’espressione della molteplicità di personalità, della coesistenza di diversi livelli di maturazione affettiva. (…) La stessa conversione è coerente con gli aspetti di personalità prevalenti in quel momento (…)”.
Ciò che può orientare verso la formazione di sintomi conversivi (la “capacità di conversione” e la “compiacenza somatica”), piuttosto che di altro tipo (fobici o ossessivi), per Freud è la personalità premorbosa, vale a dire i fattori costituzionali o acquisiti predisponenti in tal senso.
Da quanto detto, deriva che tre sono gli elementi caratterizzanti la conversione: il significato simbolico, il coinvolgimento del sistema nervoso di relazione con sintomi di tipo neurofunzionale e il fatto che il sintomo di solito è unico.
Questi tre elementi non sono presenti nella somatizzazione, termine introdotto nel 1924 dallo psichiatra Wilhelm Steckel, nel periodo in cui aveva in cura lo scrittore greco Nikos Kazantzakis. In questo caso, infatti, i sintomi tendono a essere più spesso multipli, derivano dal coinvolgimento del sistema nervoso vegetativo e non rimandano a un evidente simbolismo. Già Freud aveva colto in parte queste caratteristiche differenziali, che sono state ribadite in tempi recenti da altri psicoanalisti, tra i quali il canadese Grame Taylor (2003): “Nei pazienti con sintomi di conversione, la funzione di simbolizzazione è intatta (…). Come espressione di fantasie conflittuali rimosse, i sintomi raccontano una storia e seguono leggi psichiche. Al contrario, nei pazienti con sintomi di somatizzazione, le emozioni non sono ben rappresentate simbolicamente, in quanto manca la sottostante attività fantasmatica. In questi pazienti, i sintomi iniziano nel corpo e seguono leggi somatiche. Mentre i sintomi di conversione implicano un funzionamento neurocognitivo di livello superiore, i sintomi di somatizzazione implicano problematiche psicologiche di livello inferiore (Kirmayer e Santhanam, 2001). Inoltre, la conversione è un processo attivo dell’Io (Rangell, 1959), mentre la somatizzazione è un fenomeno passivo (…). Il conflitto può essere presente sia nella conversione che nella somatizzazione, ma in quest’ultima evoca condizioni croniche di eccitamento emotivo più che simboli espressi con il corpo”. Lo stesso Taylor, in conclusione, riconosce che si tratta di una distinzione clinicamente importante soprattutto sul piano psicoterapeutico.