Uno degli equivoci psicopatologici più diffusi è quello di considerare la mania come manifestazione di uno stato d’animo gioioso, gaio, ilare. Ancora Weitbrecht (1960; 1963) definiva gli episodi maniacali come “particolari stati di grazia della sorte”.
In realtà, già Areteo, nel I secolo d.C., riconosceva che “le forme e le modalità con le quali si manifesta la mania sono molteplici: alcuni sono allegri e amano giocare, altri sono focosi e distruttivi: sono portati a far del male o a uccidere” (Zilboorg e Henry, 1941).
Quindi, lo stato maniacale caratterizzato da una prolungata euforia e una gioiosa espansività descrive solo una minoranza di pazienti, dal momento che non raramente prevale l’instabilità dell’umore e l’irritabilità (mania in greco significa rabbia, furia). Lo stesso Bleuler ha sottolineato che “questa euforia si tramuta istantaneamente nell’ira e nella collera non appena sorgano contrarietà o sia ferito l’amor proprio o si debba por freno all’impulso attivistico”. Così come Ey, Bernard e Brisset: “La sua tonalità affettiva è instabile ed egli passa rapidamente dalla gioia alle lacrime e dalle lamentazioni alla collera. E’ ironico e caustico, ridicolizza con piacere il proprio interlocutore, recrimina e denuncia (…). Infine, questa effervescenza può scaricarsi con manifestazioni d’irritazione, di violenza ed anche di aggressività forsennata”.
Significative sono, a questo proposito, le parole di Eugenio Borgna (1992): “All’oscurità e alla pesantezza della malinconia si contrappongono la leggerezza e la volubilità della mania; ma contraddizioni laceranti solcano l’esistenza maniacale solo apparentemente segnata dalla luce leggiadra e improblematica della felicità e della grazia. (…) Leggeri e fuggitivi, volubili e futili, come il mondo in cui vivono e in cui si agitano, i pazienti non ammettono di essere contraddetti e di essere limitati nei loro movimenti. Nel loro mondo non ci sono barriere, né interne né esterne, e non ci sono ostacoli dinanzi a cui possano arrestarsi; e, quando gli ostacoli sono alimentati dall’ambiente circostante, i pazienti divengono eccitati, aggressivi e talora precipitano in gesti di violenza”.
E non raramente i sintomi bersaglio iniziali sono proprio quelli comportamentali, in un crescendo che va dall’ipervigilanza e dalla iper-reattività all’agitazione e aggressività, in una situazione in cui gli aspetti maggiormente insidiosi sono rappresentati dall’assenza di insight, che non permette di realizzare un contatto umano (e quindi terapeutico) significativo e soprattutto stabile