L’impulsività
Il concetto di impulsività è molto vasto ed eterogeneo e, non a caso, è diventato oggetto dell’interesse di numerosi e, a loro volta, eterogenei studi a impostazione biologica, comportamentale, psicodinamica. Bisogna tuttavia sottolineare che non si deve circoscrivere l’ambito dell’impulsività ai soli agiti violenti, in quanto rientrano in tale definizione tutta una serie di comportamenti di interesse clinico, quali la condotta sessuale parafilica o promiscua, gli abusi di sostanze, i disordini alimentari, ecc.
In termini generali, l’impulsività rappresenta la tendenza a cedere alla spinta di uno stimolo interno, rendendo immediato il passaggio all’atto; essa si configura, pertanto, come uno stato di attivazione dell’organismo, che si connota per una bassa soglia di reattività agli stimoli, con tendenza a una immediata e non controllabile disposizione all’avvio di un’azione.
La differenza fra irritabilità e impulsività consiste nel fatto che nella prima è presente la tendenza a reagire a stimoli ambientali di ogni tipo, mentre nella seconda la reattività risulta aumentata solamente per gli stimoli che hanno una valenza adattiva, percepiti dal soggetto come possibile fonte di gratificazione. Tale possibilità tuttavia, per le caratteristiche stesse dell’impulsività, non presuppone una valutazione ponderata dei costi e dei benefici, per cui è possibile che la persona si esponga a situazioni pericolose per sé o per gli altri, compresi eventuali scontri di natura aggressiva.
Masala, Preti e Petretto (2002) distinguono l’impulsività dall’irritabilità, che è definibile come una condizione di bassa soglia di reazione emotiva agli stimoli, inclusi quelli meno salienti in tal senso; dall’irrequietezza, che è invece la difficoltà a recuperare lo stato di calma a seguito di una stimolazione ambientale; dall’agitazione, che è caratterizzata da una condizione d’ipermotilità, in cui si assommano irrequietezza e irritabilità.
La difficoltà nel controllo degli impulsi è un elemento centrale nel disturbo borderline, ma si riscontra con una certa frequenza anche in altri disturbi di personalità, soprattutto del gruppo B (o dramatic cluster).
“Al di là dei singoli metodi e delle specifiche tecniche preposte, sono identificabili alcuni principi guida terapeutici nell’affrontare l’impulsività nei pazienti affetti da disturbi di personalità. Il primo principio è che l’agito impulsivo, indipendentemente dall’eterogeneità biologica e psicologica della sua origine, si sviluppa sempre nell’ambito di una trama di relazioni passate e attuali, reali o interiorizzate, e in questo contesto deve sempre essere considerato. Il secondo principio è che l’atto impulsivo, nell’ambito di tale contesto relazionale, possiede un significato, un contenuto emotivo e comunicativo. Il terzo principio è che una restituzione di significato ai comportamenti impulsivi del paziente è un momento cruciale della terapia. Uno dei cardini della patologia borderline è la radicale discontinuità con cui i pazienti tendono a vivere i diversi momenti della propria esistenza; occorre tentare di restituire un senso di continuità, innanzitutto attraverso un modello di cure che faccia della continuità terapeutica una sua caratteristica fondante (Furlan et al., 1996).