La fenomenologia dell’attenzione
Le componenti attentive giocano un ruolo importante nel monitoraggio continuo dell’ambiente circostante, degli stimoli contestuali e del proprio comportamento, nella corretta selezione degli input necessari al processamento delle informazioni interne ed esterne e nella gestione delle risorse cognitive impiegate nella pianificazione ed esecuzione quotidiana di attività complesse. L’attività della funzione attentiva è in stretto rapporto con le altre funzioni cognitive e spesso coincide con lo stato di coscienza; un obnubilamento di quest’ultima comporta necessariamente una difficoltà nel focalizzare l’attenzione.
Dall’inizio del secolo scorso si è sviluppato un dibattito tra coloro che consideravano l’attenzione come funzione autonoma, e coloro che la collocavano all’interno di un coeso e complesso sistema di funzioni psichiche che contribuiscono allo stato di coscienza, sottolineando inoltre l’importante rapporto con l’affettività documentato anche da più recenti studi psicofisiologici (Mostofsky, 1970), che hanno obiettivato gli aumenti dei livelli di vigilanza e i vissuti affettivi apprensivi di attesa che accompagnano la focalizzazione dell’attenzione (“arousal attentivo”).
Per Jaspers, “l’attenzione è la condizione necessaria per la chiarezza dell’esperienza interiore”. Egli sostiene, inoltre, che “è l’esperienza soggettiva (Erlebnis) di rivolgersi verso un oggetto. Se è accompagnata dalla coscienza di provenire da condizioni interne, può essere prevalentemente attiva, mentre se è vissuta più come un essere attratta, avvinghiata, può essere prevalentemente passiva. Questa è la differenza fra attenzione volontaria e involontaria”. Egli sostiene inoltre l’esistenza di un rapporto diretto fra attenzione, emozioni e stato di coscienza.
Callieri (2006) distingue, quali momenti costituenti della funzione attentiva, l’attesa, l’osservazione e la riflessione. “Nell’attenzione aspettante, l’individuo si prepara all’azione, la quale è sempre subordinata al verificarsi di certe condizioni attese (ad es. il cacciatore che attende al varco lo spuntare improvviso e fugace della lepre). Nell’attenzione osservante il soggetto non prende parte alla vicenda ma la segue con interesse, è uno spettatore in toto, nessun particolare gli sfugge, la sua capacità di “cogliere” (…) è piena; riesce a mantenere a fuoco la scena anche a lungo, pur se con qualche oscillazione. (…) L’attenzione riflettente (…) si esercita su di un oggetto appartenente all’esperienza interiore, oggetto verso cui si tende come verso un fine, oggetto su cui si concentra appieno l’attività mentale (…)”.
L’influenza dell’affettività sulla fenomenologia dell’attenzione è particolarmente evidente sia in alcune condizioni fisiologiche (si pensi all’innamoramento) sia nei quadri patologici ipertimici: infatti, nel maniacale si può constatare talvolta una certa iperprosessia, che si manifesta soprattutto attraverso brillanti, ma effimere intuizioni, a causa della scarsa capacità di mantenimento dell’attenzione su un oggetto per la continua interferenza di stimoli distraesti. Per Callieri (2006), singolari manifestazioni di iperprosessia si hanno inoltre nell’illuminazione schizofrenica, “che conduce a un’esasperazione dell’attenzione, affilata, tagliente, millimetrica, instancabile, martellante, incessante”, così come nelle “polarizzazioni paranoidi sulle incessanti voci sussurrate, ascoltate e colte con estrema attenzione (…) in un’atmosfera di animo sospeso e di angoscia penosa”. Si tratta, per certi versi, di tratti comuni anche ai pazienti ossessivi: “L’attenzione che l’ossessivo rivolge all’ambiente circostante è per certi versi intensa e lucida, mentre molti aspetti della realtà vengono facilmente trascurati” (Spaçal, 1989).
Al polo opposto si collocano le condizioni di appannamento o eclissi dell’attenzione, che confermano l’inscindibilità di questa dalle altre funzioni psichiche, non solo lo stato di coscienza e l’affettività: per esempio, nei deficit intellettivi e mnesici si realizza inevitabilmente una tendenza all’ipoprosessia, come si può constatare nelle oligofrenie, nelle demenze, nei disturbi amnestici (come l’encefalopatia di Wernicke). È evidente quindi che la compromissione o il deficit corticale cerebrale, in particolare quello frontale e pre-frontale, provoca una carenza di tutte le funzioni cognitive compresa l’attenzione.