Il disturbo delirante
Il delirio, quando è ben strutturato e non è accompagnato da una predominante componente allucinatoria, può configurare il cosiddetto “Disturbo delirante”, che secondo il DSM-IV-TR è caratterizzato da deliri non bizzarri, “cioè concernenti situazioni che ricorrono nella vita reale” e dal fatto che il funzionamento non risulta compromesso in modo rilevante e non è eccessivamente stravagante.
Heinroth nel primo decennio del Novecento aveva denominato tale disturbo “paranoia”, mentre Esquirol nel secolo precedente gli aveva attribuito il nome di “monomania”. Lo stesso Kraepelin (1904; 1919) distinse la “paranoia” (vale a dire un quadro delirante cronico, senza altre “alterazioni della mente”, considerato comunque raro) dalla dementia praecox (vale a dire la “futura” schizofrenia, in cui confluivano la maggior parte dei disturbi con sintomatologia delirante); successivamente, nel 1909, isolò, sotto il nome di “parafrenia” una nuova entità, che comprendeva i deliri cronici “endogeni”, a insorgenza tardiva, a contenuto “fantastico” e con scarso indebolimento intellettivo e affettivo e ne distinse quattro forme: “sistematica” (simile alla paranoia, ma con componente allucinatoria), “espansiva” (simile allo stato maniacale per le tematiche megalomaniche e l’eccitamento), “confabulatoria” (così detta per gli aspetti continuamente cangianti delle tematiche deliranti) e “fantastica” (con allucinazioni e deliri incorenti e fantastici).
Anche Bleuler, da lì a breve (1911), pur sostenendo che la maggior parte delle forme di “paranoia” rientravano nella schizofrenia di tipo paranoide, riconobbe l’esistenza di “sistemi deliranti senza sintomi schizofrenici”: all’infuori del sistema delirante e di tutto ciò che vi si riferisce la logica del paranoico e il corso delle sue idee risultano, ai nostri mezzi di indagine, integri. (…) L’affettività appare, all’osservazione diretta, normale. Tutti i vissuti, sia quelli reali sia quelli deliranti, possiedono un’adeguata carica emotiva”.
La posizione di Freud sulla paranoia e la parafrenia è alquanto complessa e ampiamente descritta nel “caso Schreber” (1910): egli infatti concordava con Kraepelin sulla opportunità di tenere distinta la paranoia dalle psicosi schizofreniche, pur riconoscendo che “sintomi paranoici e schizofrenici possono combinarsi in tutte le proporzioni”, soprattutto in relazione alla sua convinzione che la sistematizzazione del delirio non fosse un criterio sufficiente per caratterizzare la paranoia. Contemporaneamente egli giudicava non adatti sia i termini di “dementia praecox” di Kraepelin e di “schizofrenia” di Bleuler, proponendo il termine di “parafrenia” “che non implicava le stesse opzioni in merito al meccanismo profondo dell’affezione; inoltre, parafrenia si avvicinava a paranoia sottolineando così l’affinità tra le due affezioni” (Laplache e Pontalis, 1967).
La teorizzazione bleuleriana venne sostanzialmente ripresa da Ey e dalla scuola francese (1960), che individuò le “psicosi deliranti croniche”, distinguendole in forme senza evoluzione deficitaria (psicosi deliranti sistematizzate o paranoia, psicosi allucinatorie croniche e psicosi fantastiche) e forme con evoluzione deficitaria (forme “paranoidi” della schizofrenia).