I disturbi cognitivi nella schizofrenia
L’interesse verso le disfunzioni cognitive nella schizofrenia, per altro già segnalate da Kraepelin fin dal 1919, è cresciuto notevolmente nell’ultimo decennio, con le tecniche di neuroimaging e l’impiego sistematico di test neuropsicologici; oggi si concorda sul fatto che i deficit cognitivi nella schizofrenia siano parte integrante e persistente della malattia stessa, in relazione al coinvolgimento delle aree frontali e pre-frontali. In particolare sono investite le capacità indicate di seguito.
- Memoria: è opinione diffusa che esistano soprattutto deficit della “working memory” (vale a dire della capacità di tenere in memoria le informazioni verbali, visive e spaziali, nei diversi aspetti, per tutta la durata dello svolgimento di un compito); ma anche della memoria a lungo termine, dichiarativa, esplicita episodica; alcuni dati in letteratura sostengono una correlazione significativa tra memoria, sintomi negativi e funzionamento sociale (Milev et al., 2005).
- Funzioni esecutive: hanno a che fare con tutte le attività complesse di pianificazione, monitoraggio e traduzione in sequenze comportamentali delle azioni, ai fini dello svolgimento delle attività quotidiane. L’elaborazione e l’integrazione delle informazioni necessarie a tale scopo richiedono l’impiego di risorse attentive, mnesiche e delle abilità di problem solving e di integrazione delle componenti cognitive di input e output con quelle emotive. I principali deficit esecutivi associati alla schizofrenia si rilevano a carico delle abilità di categorizzazione, perseverazione e flessibilità cognitiva e delle funzioni metacognitive. Alcuni studi (Donohoe, Corvin e Robertson, 2005) hanno riportato una correlazione tra funzioni esecutive e insight; una compromissione a carico di tali componenti rappresenta comunque un fattore prognosticamente sfavorevole per l’outcome funzionale, il funzionamento sociale e l’efficacia di un intervento riabilitativo.
- Attenzione: i deficit, complessi e spesso strettamente associati con altre alterazioni, come quelle a carico della memoria di lavoro, riguardano l’attenzione selettiva, l’attenzione sostenuta, nonché i meccanismi di aggancio, mantenimento e shifting dell’attenzione; sono emerse significative correlazioni tra deficit attentivi e abilità lavorative e sociali; essi inoltre sembrano correlare con la precoce età di esordio e una maggior durata di malattia (Alptekin et al., 2004; Loberg et al., 2006).
- Linguaggio: nei pazienti schizofrenici esistono diversi deficit del linguaggio che si esprimono nell’ambito sia della comprensione sia della produzione spontanea di informazioni.
Sinteticamente, i deficit neurocognitivi possono essere distinti in “non specifici e stabili”, preesistenti o legati alla malattia e maggiormente correlati alla sintomatologia negativa, e “transitori e focali”, correlati alla sintomatologia acuta delirante-allucinatoria.
Per quanto riguarda la correlazione tra deficit cognitivi e schizofrenia, si sostiene che una disfunzione cognitiva presente prima della malattia possa essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo della schizofrenia o rappresentare un fattore che contribuisce alla progressione della malattia; ma soprattutto gli autori concordano oggi sul fatto che i deficit cognitivi siano quelli maggiormente correlati all’esito funzionale della malattia schizofrenica. Infatti, alle disfunzioni cognitive è strettamente associata, attraverso un deficit di metacognizione, la mancanza di consapevolezza della malattia, con compromissione della compliance e dell’aderenza ai progetti terapeutici. Una riduzione dei deficit cognitivi può incrementare la risposta ai trattamenti riabilitativi e psicoterapici, migliorando in definitiva la qualità di vita dei pazienti e riducendo i costi del trattamento della malattia schizofrenica: non solo quelli diretti (ospedalizzazione, farmaci, trattamenti e servizi extraospedalieri) o indiretti (mancata produttività dei pazienti e di chi se ne prende cura); ma anche e soprattutto i cosiddetti costi intangibili, vale a dire la riduzione della qualità di vita sia per il malato sia per i familiari.
Gli antipsicotici convenzionali hanno solo limitate potenzialità nei confronti di alcuni domini delle funzioni cognitive; inoltre, i vantaggi eventualmente ottenuti in questo senso vengono spesso annullati dagli effetti istaminergici e anticolinergici o dall’uso concomitante di farmaci anticolinergici necessari per contrastare la sintomatologia extrapiramidale indotta. Invece i nuovi antipsicotici (i cosiddetti antipsicotici atipici) manifestano indubbi vantaggi rispetto a quelli tradizionali, almeno per quanto concerne l’impiego a lungo termine, sia indirettamente, tramite una maggiore efficacia sulla sintomatologia negativa, minori effetti collaterali e minori effetti anticolinergici, sia, secondo alcuni autori (Peuskens, Demily e Thibaut, 2005), direttamente, attraverso un recupero dell’attività frontale dopaminergica.