Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo rappresenta la migliore dimostrazione di come l’aggressività possa avere un’enorme importanza nella clinica, anche se non è presente in maniera manifesta. In questa condizione, infatti, è presente un circolo vizioso tra aggressività, senso di colpa e vergogna, con pressanti vissuti di ambivalenza: l’aggressività viene negata e resa inoffensiva attraverso i rituali, ma ricompare come compulsione, anche se il passaggio all’atto è infrequente.
D’altra parte, il significato psicodinamico della nevrosi ossessiva è sintetizzabile nell’inconscia credenza del paziente che sia possibile sfuggire alle richieste dell’Es, che contengono non solo pulsioni libidiche, ma anche e soprattutto aggressivo-distruttive, attraverso le formule, i cerimoniali, i rituali che costituiscono l’espressività sintomatologica del disturbo.
Egli tenta di contrastare le pulsioni con specifici meccanismi di difesa, quali l’isolamento (scorporare da ogni avvenimento gli aspetti emotivi, cosicché diventino maggiormente sopportabili) e la razionalizzazione (rifiutare l’illogicità e l’inaccessibilità dei propri sentimenti): in questo modo egli cerca di mantenere nell’inconscio quello che è il suo aspetto maggiormente problematico, vale a dire l’aggressività, che non riesce a “maneggiare” e di cui non può rendersi conto. Particolarmente funzionale, da questo punto di vista, è un altro meccanismo di difesa: la proiezione, che permette di attribuire all’altro le proprie pulsioni aggressive, sviluppatesi in rapporto a una particolare conflittualità della fase anale dello sviluppo.
L’agito aggressivo manifesto può anche derivare, nell’ossessivo, dal desiderio di liberarsi da una situazione insopportabile, ma in realtà la frequenza di episodi violenti è piuttosto rara: l’aggressività pare infatti negata e annullata nelle sue componenti offensive, ricomparendo invece nelle compulsioni. Il più delle volte, quando il soggetto teme di poter fare del male agli altri, essa viene ridirezionata dall’esterno all’interno e si esprime allora in comportamenti autolesivi quali la tricotillomania e l’onicofagia (Masala, Preti e Petretto, 2002).
Una manifestazione “indiretta” dell’aggressività dell’ossessivo si realizza nella cosiddette “crisi di orribili tentazioni”, caratterizzata dalla spinta e dal concomitante timore di commettere gesti riprovevoli o di poter fare del male a qualcuno: «Benché sia poco più che un segnale di collera, la tentazione sconvolge l’orgogliosa moralità del paziente. La sua reazione di orrore equivale a una scarica enorme di paura colpevole, e gli possono occorrere delle ore per riacquistare il dominio di sé. (…) Sarebbe un grave errore supporre che il paziente bruci di ira rimossa. Al contrario, un esame più accurato dimostra come l’ira destinata a esplodere sia stata quasi completamente rivolta su se stesso, e ora egli non possa far altro che torturarsi. Se fosse capace invece di sfogare l’ira nell’ambiente, sarebbe salvo. Questa ondata di disperazione è, in realtà, il messaggio segreto che la sua orribile tentazione di uccidere gli porta: “Vorrei essere un assassino”» (Rado, 1959-1966).