Una articolazione particolarmente interessante della patologia affettiva depressiva è quella elaborata tra il 1913 e il 1916 da Max Scheler, fenomenologo allievo di Husserl; la sintesi del suo pensiero è che la vita psichica, e quindi affettiva, può essere compresa considerandola “strutturalmente” composta da diverse stratificazioni; solo attraverso uno studio di tipo “archeologico” è possibile arrivare a un’effettiva comprensione dei fatti psicologici e psicopatologici. Scheler distingue quattro livelli di profondità dei sentimenti:
- sentimenti spirituali: corrispondono a sentimenti religiosi o metafisici, sostanzialmente staccati da una componente psicologica (per esempio, la beatitudine, l’estasi);
- sentimenti psichici o dell’Io: stabiliscono un’alterità e una relazione, in quanto sono puri attributi dell’Io psichico e presuppongono un oggetto, un orizzonte, verso cui essere indirizzati; (per esempio, l’amore);
- sentimenti vitali: al contrario dei precedenti, sono privi di qualsiasi intenzionalità e sono vissuti sul piano della propria individualità; sono quindi intrapsichici, anche se si diffondono all’intera struttura corporea (per esempio, la salute, la vitalità);
- sentimenti sensoriali: riguardano gli aspetti somatici, in quanto tutti hanno un correlato fisico (per esempio, la fame).
Secondo Scheler, tutti questi aspetti sono interessati dalla depressione, con una predominanza relativa variabile a seconda delle diverse forme depressive.
Questa impostazione è stata successivamente utilizzata da Kurt Schneider (1950), che ha introdotto il concetto di “tristezza vitale”, che nasce dallo strato dei sentimenti vitali e viene descritto dall’autore come un vissuto “di stanchezza e mancanza di vigore che viene riportato a livello psichico come tristezza”.
Eugenio Borgna (1992) così caratterizza e differenzia la “tristezza psichica” e la “tristezza vitale”: “Nella sfera dei sentimenti psichici si dà qualcosa che noi amiamo, che noi detestiamo, che noi temiamo, e qualcosa di cui gioiamo e soffriamo, di cui disperiamo; e la tristezza psichica è contrassegnata da questa immedesimazione in un altro-da-sé incrinata dal dolore e dal pianto: da questo accasciamento creaturale insopportabile. (…) La tristezza vitale non ha intenzionalità: non è reazione (risposta) a qualcosa e nondimeno è un sentimento e non una semplice sensazione. La tristezza vitale è rivissuta non solo psichicamente ma anche fisicamente come un peso e come una oppressione; benché non abbia una localizzazione determinata e solo localizzazioni indiziarie e preferenziali come il cuore o lo stomaco”.