Un approccio strettamente categoriale alla depressione è sostanzialmente insoddisfacente, almeno se riferito all’attuale classificazione nosografica (DSM-IV-TR, ICD-10) che, in fondo, evidenzia un numero limitato di disturbi depressivi; la crescita esponenziale dei quadri clinici che è possibile ottenere in base alle caratteristiche di decorso, agli aspetti prognostici, all’espressività psicopatologica, al periodo d’insorgenza e ai criteri eziopatogenetici, in realtà finisce per essere ulteriormente confusiva: non riesce a rendere effettivamente conto delle sfaccettature psicopatologiche e soprattutto non è funzionale alla definizione di trattamenti più specifici.
«Le categorizzazioni diagnostiche di tipo fenomenico difficilmente possono aiutarci a cogliere compenetrazioni, possibili origini comuni e reale potere differenziante delle diversità. Forse il limite è quello di costringere gli aspetti depressivi entro i, seppur necessari, vincoli nosografici e poi ricorrere a questi per stabilire delle correlazioni con altri vincoli nosografici. (…) Un approccio forzatamente categoriale, come quello che “impongono” i sistemi DSM e ICD, porta inevitabilmente a una limitazione della visione psicopatologica» (Furlan e Picci, 1996).
Si comprendono quindi i tentativi messi in atto da molti studiosi di differenziare e caratterizzare le diverse espressività sintomatologiche della depressione nell’ambito delle differenti categorie nosografiche, allo scopo di meglio definire possibili criteri di risposta al trattamento.
Maggiormente funzionale alla possibilità di definire un più mirato trattamento sembra essere l’approccio dimensionale: in questa prospettiva, è la diversa combinazione di un numero limitato di clusters sintomatologici che può rendere ragione della grande varietà di espressività clinica che si può osservare nei pazienti depressi.
La suggestione è di poter collocare alla base di ogni dimensione psicopatologica specifici correlati biologici e quindi specifiche indicazioni psicofarmacologiche: «Una volta che siano state identificate sperimentalmente ed in modo esaustivo tutte le grandezze psicopatologiche fondamentali, queste possono essere misurate per l’intensità in ciascun caso; successivamente l’intervento farmacologico può essere calcolato ad personam in funzione sia dello specifico “profilo dimensionale personale” che del profilo “farmacodinamico” di ciascun farmaco disponibile» (Marconi, 2004).
Lo scopo ultimo dell’approccio dimensionale, quindi, è di poter stabilire una correlazione vieppiù precisa tra psicopatologia dimensionale e farmacoterapia dimensionale. Tuttavia, al momento attuale, tale correlazione è ancora a livello teorico, sostenuta da evidenze scientifiche solo in un numero limitato di casi.