Deficit intellettivo secondario
Il deficit delle funzioni intellettive secondario a disturbi psichiatrici può essere in relazione a molteplici fattori:
- caratteristiche intrinseche della malattia stessa: è il caso, per esempio, dei deficit cognitivi nella schizofrenia, anche se non è ancora stato indiscutibilmente dimostrato un deterioramento intellettivo globale quale conseguenza della processualità della malattia, mentre sono stati sicuramente accertati specifici deficit neurocognitivi, alcuni dei quali sembrano precedere l’esordio;
- alterato rapporto con la realtà, come si verifica nell’autismo e nella schizofrenia con accentuata componente autistica o con prolungata istituzionalizzazione;
- fattori esotossici: numerose sostanze tossicomaniche possono determinare deficit cognitivi multipli, fino a configurare il quadro della “Demenza Persistente Indotta da Sostanze” secondo il DSM-IV-TR; emblematica, a questo proposito, è la demenza alcolica, caratterizzata da un deterioramento mentale progressivo, accompagnato da disgregazione della personalità e caduta del senso etico;
- terapie psicofarmacologiche: i trattamenti con antipsicotici tradizionali sembrano maggiormente in causa nel determinare deficit cognitivi;
- aspetti affettivi: nella depressione, la riduzione della prestazione intellettuale è in relazione ai disturbi cognitivi e della motivazione, nonché all’inibizione delle spinte pulsionali e si risolve con il ritorno del paziente a una condizione di normotimia; anche nei gravi disturbi d’ansia, il soggetto può avere e fornire l’impressione di un generale deficit cognitivo.
Una forma particolare di sovrapposizione tra disturbi cognitivi e affettivi si realizza nella “pseudodemenza”, termine introdotto per la prima volta da Kiloh nel 1961 per indicare quelle forme depressive che si manifestano con un quadro demenziale, sebbene le funzioni cognitive non siano effettivamente deteriorate, bensì non esercitate. Benché sovente reversibile con appropriato trattamento antidepressivo, tale quadro può tuttavia esitare in un quadro demenziale vero e proprio in una percentuale non indifferente di casi (50% dei casi in cinque anni).