Aumento dello stato di coscienza
Secondo Arieti (1959-1966b), “la capacità di associare rapidamente che il maniaco possiede lo rende capace di afferrare immediatamente alcuni aspetti dell’ambiente che altrimenti passerebbero inosservati. Il malato si trova nella situazione paradossale di chi ha una maggiore capacità di osservare e di afferrare gli stimoli ambientali, ma non può servirsene per la sua grande distraibilità”.
Nell’episodio maniacale l’aumento dello stato di coscienza è solo apparentemente in contrasto con la distraibilità, uno dei criteri diagnostici contemplati dal disturbo dell’umore: in realtà, il soggetto maniacale può mostrare brillanti intuizioni, ma scarsa capacità di soffermarsi sulle stesse, in quanto ogni stimolo distraente finisce per avere il sopravvento sul paziente.
A un livello diverso si collocano le esperienze di “amplificazione della coscienza” provocate da una serie di sostanze, a suo tempo chiamate in vari modi: schizogeni o psichotica, psicotogeni, phantastica, allucinogeni ed elixirs, fino alla definizione di “psicotomimetici” coniata da R. W. Gerard nel 1956. Si tratta di un lungo elenco di sostanze, molte delle quali naturali e per millenni diffuse nelle più svariate culture e religioni: il soma dei Veda, l’ambrosia degli antichi greci, i funghi teonanacatl-carne-degli-dei tra i maya e gli aztechi, l’amanita muscaria degli sciamani siberiani, il peyote in Messico e in Nord America, le liane Banisteriopsis caapi, i convolvoli ololiuhqui, usati tuttora dagli sciamani in Amazzonia e in varie parti dell’Africa (McKenna, 1992); senza dimenticare il principio psicoattivo del kykeion, il sacramento che iniziava ai misteri eleusini, un rito caratterizzato oltre che da oscure formule magiche, dall’esposizione di una spiga “mistica” e di una miscela a base di segale cornuta (da cui, circa due millenni dopo, si estrarrà l’LSD), che veniva fatto bere agli iniziati, che così avevano accesso a un’esperienza estatica particolarmente intensa: tra i tanti, si ricordano Platone, Aristotele, Eraclito, Plutarco, Pindaro, Sofocle, Euripide, Eschilo, Aristofane, Cicerone, Marco Aurelio, Adriano, ecc.
Un’accurata descrizione degli effetti di tali sostanze è fornita da Humphry Osmond, che per alcune di esse coniò il termine “psichedeliche” (rivelatrici della mente): “Non si tratta di fughe dalla realtà, ma di amplificazioni, di fioriture della realtà (…) il cervello, per quanto il suo funzionamento sia danneggiato, agisce con maggiore acutezza e complessità di quando è normale (…). Sono sostanze che producono dei mutamenti nel pensiero, nella percezione, nello stato d’animo e, a volte, nell’atteggiamento del corpo” (Solomon, 1964).
Queste sostanze psicotrope hanno caratterizzato nella prima metà del XX secolo numerose sperimentazioni in ambito psichiatrico e hanno portato verso la fine degli anni ’40 alla formulazione del concetto di “psicosi modello” o “sperimentali” (stati transitori simili alla schizofrenia) e al loro successivo impiego nel trattamento di alcuni disturbi psichici: K. E. Godfrey (1968) riporta una serie di esperimenti con LSD effettuati su pazienti curati per alcolismo tra il 1963 e il 1964 nel Topeka Veterans Administration Hospital e un trattamento in cui, in aggiunta alla psicoterapia di orientamento psicanalitico, veniva somministrato l’LSD (non fu comunque questo l’unico caso di impiego di sostanze psicotrope nei trattamenti psicoterapeutici), riassumendo in tal modo il suo effetto: facilitazione della regressione e della memoria, intensificazione del transfert, riduzione del tempo di resistenza, aumento della capacità di introspezione e di autosservazione.
Negli anni ’50 e ’60 gli psichedelici (in particolare LSD, mescalina e psilobicina) vennero ampiamente utilizzati anche in ambito artistico, in quanto ritenuti un fattore favorente l’esperienza creativa, per un effetto di “espansione della mente”, di superamento dei limiti abituali dello stato di coscienza e di amplificazione delle esperienze sensoriali.