Il deficit della volontà, almeno in alcune forme depressive, trova il suo fondamento nell’inerzia ideomotoria e soprattutto nell’apatia: si osserva la mancanza di qualsiasi risonanza emotiva, che si traduce nella mancanza di ogni iniziativa. Il paziente può ancora compiere, per automatismo, gli atti abitudinari, ma l’atto volontario che richieda una molla emotiva e un’attivazione psichica e motoria diventa sostanzialmente impossibile o comunque penoso e lento. L’inizio di ogni azione richiede solitamente un minimo di volontà che rappresenta la vis a tergo per l’esecuzione dell’atto: nel depresso molti tentativi falliscono sul nascere. Come ha sottolineato Jaspers, «può accadere che il soggetto, in stato di piena coscienza ed in perfetto orientamento, veda, oda e conservi nella memoria ciò che ha osservato; ma in presenza di qualsiasi avvenimento, che gli procuri felicità, gioia e vantaggi, oppure che lo minacci di pericoli, dolori e distruzioni, lasci passare tutto innanzi a sé con la stessa completa indifferenza – “morto a occhi svegli”».
Apatia e abulia, oltre che nella depressione, compaiono nelle forme schizofreniche con sintomatologia negativa: il primo inquadramento, in tal senso, si deve a Timothy Crow, che in una serie di lavori pubblicati nei primi anni ’80 ha delineato la distinzione tra due sottotipi di schizofrenia, per i quali ipotizzò anche meccanismi patofisiologici diversi: disordini biochimico-funzionale per il tipo I e strutturali per il tipo II.
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TIPO I |
TIPO II |
Sintomi | Positivi | Negativi |
Risposta ai neurolettici | Buona | Scarsa |
Deterioramento cognitivo | Assente | Presente |
Esito | Reversibile | Irreversibile |
Processi neuropatologici responsabili | Aumento recettori dopaminergici |
Perdite neuronali legate a un danno cerebrale |
La sintomatologia negativa comprendeva per Crow appiattimento affettivo, povertà dell’eloquio e perdita d’iniziativa.
Qualche anno dopo Nancy Andreasen (1985) prese le distanze dall’approccio categoriale e raggruppò i sintomi presenti nella schizofrenia in tre differenti dimensioni, negativa, positiva e disorganizzativa, ciascuna delle quali può contribuire con un peso diverso ai quadri clinici schizofrenici, rendendo così ragione della notevole diversificazione degli stessi; ai tre sintomi negativi descritti da Crow, Andreasen aggiunse l’anedonia-ritiro sociale e i disturbi dell’attenzione.
Un importante contributo è stato fornito anche da Carpenter (1985; 1991), che ha distinto sintomi negativi che comportano un deficit (considerati primari, duraturi e farmacoresistenti) dai sintomi negativi che non comportano un deficit (più variabili e più sensibili alla terapia farmacologica), secondari alla sintomatologia produttiva, agli effetti extrapiramidali dei neurolettici, alla sintomatologia depressiva e alle condizioni di scarsa stimolazione sociale.
Dopo le descrizioni di Crow, i sintomi negativi della schizofrenia sono stati oggetto di moltissimi lavori, ma ancora oggi non esiste completo accordo fra gli autori su quali siano i sintomi schizofrenici cui deve essere attribuita la denominazione di negativi: esiste tuttavia una notevole concordanza per quanto riguarda l’appiattimento affettivo e l’alogia, oltre che per la povertà dell’eloquio.