Aggressività e disturbi psichiatrici
L’eventuale comportamento aggressivo da parte di pazienti psichiatrici non sembra essere circoscritto ad alcune specifiche categorie diagnostiche, ma pare piuttosto attraversare l’intera nosografia, poiché rappresenta la manifestazione della dimensione comune impulsività-ostilità e quindi un epifenomeno all’interno delle categorie psicopatologiche, così come nell’ambito della popolazione non psichiatrica.
Si tenga presente, infatti, che un gran numero di pazienti psichiatrici, ancorché grave, non è aggressivo e probabilmente non lo sarà mai: l’incidenza delle manifestazioni aggressive è bassa e occasionale e soltanto una minima parte dei pazienti psichiatrici si rende protagonista di episodi violenti.
In linea di massima, nelle psicosi e nei gravi disturbi di personalità (in particolare di cluster B), l’aggressività manifesta sembra essere più frequente rispetto ai pazienti nevrotici, nei quali i meccanismi di difesa sono più efficaci e una più solida struttura di personalità può fare affidamento su facoltà critiche e risorse adattive.
Nella letteratura clinica, la classificazione dei soggetti che presentano un comportamento aggressivo-violento ha subito nel tempo molteplici variazioni.
Nella prima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-I, 1952) veniva descritta una personalità “aggressivo-passiva”, caratterizzata da una persistente reazione alla frustrazione, con irritabilità, scoppi di collera e comportamento distruttivo.
Il DSM II (1968) descriveva invece una “personalità esplosiva”, caratterizzata “da accessi di collera o di aggressività, verbale o fisica, nettamente diversi dal comportamento abituale del paziente” in individui generalmente “eccitabili, aggressivi ed eccessivamente responsivi alle pressioni ambientali”.
Nella letteratura clinica, il termine diagnostico di “disturbo esplosivo intermittente” ha fatto la sua comparsa all’interno dell’ ICD-9 (1975), e fu in tale occasione che la violenza episodica è stata per la prima volta classificata come una patologia separata dai disturbi di personalità; questo nonostante forti perplessità circa l’esistenza di una categoria clinica autonoma e non sintomatica di un altro disturbo mentale.
Attualmente secondo il DSM-IV (1992), soltanto in alcuni disturbi i comportamenti aggressivi e violenti sono indicati come criterio diagnostico fondamentale: nel “disturbo esplosivo intermittente”, nel “disturbo dell’adattamento con alterazione della condotta” e nei “disturbi di personalità”, antisociale e borderline con maggiore frequenza, ma anche paranoide e sadico.
Gli studi più recenti hanno spostato maggiormente l’attenzione dalla categoria diagnostica alle caratteristiche di decorso, all’espressività sintomatologica e alla gravità della patologia: i pazienti affetti dalle forme cliniche più gravi e invalidanti sarebbero quelli che più frequentemente divengono aggressivi.
E’ comune, nell’ambito della letteratura psichiatrica, indicare la diagnosi di schizofrenia come quella maggiormente associata a episodi di aggressività; tuttavia questa correlazione potrebbe derivare dal fatto che la schizofrenia è la categoria maggiormente rappresentata tra i pazienti ospedalizzati, che rappresentano il campione più spesso indagato. Fattori di rischio sono considerati la presenza di sintomi psicotici acuti (soprattutto deliri persecutori e la presenza di voci imperative) e il precoce esordio di malattia, oltre alla comorbidità con l’uso di sostanze e con disturbi della personalità.
La letteratura segnala un’elevata frequenza di episodi di violenza nei reparti psichiatrici anche fra i maniacali, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento, di solito in relazione a intolleranza alle limitazioni ambientali: la maggiore labilità emotiva e la frequente irritabilità renderebbero questi pazienti, più ancora degli schizofrenici, predisposti all’aggressione, anche fisica.
Questo tipo di aggressività è riscontrabile anche nei disturbi di personalità, in particolar modo nel disturbo antisociale e nel disturbo borderline.
Infine, per quanto riguarda l’abuso di sostanze, vi è un ampio consenso nell’affermare che esso sia una condizione significativamente correlata a un aumento del rischio di violenza, sia nella popolazione generale che fra i pazienti psichiatrici.
L’abuso è stato considerato, a seconda degli autori, come un fattore di rischio isolato o come elemento aggiuntivo del rischio di violenza, oltre che un fattore predisponente allo sviluppo di gravi disturbi psichiatrici, compresa la schizofrenia, che si caratterizzano per la presenza di maggiore ostilità e più basse cooperatività e compliance terapeutica, frequenti comportamenti antisociali e gravi conflittualità relazionali.
Vissuti aggressivi possono manifestarsi in tutti i disturbi d’ansia, nell’ambito dello schema di risposta di attacco o fuga di fronte a uno stimolo interno o esterno; l’aggressività, in questo caso di origine nevrotica, diviene apertamente manifesta nel momento in cui i meccanismi di difesa e di adattamento messi in atto non sono più efficaci nel mantenimento dell’equilibrio psichico e gli stessi sintomi nevrotici possono essere considerati come particolare espressione di spinte aggressive inconsce.
Inoltre tutte le sindromi caratterizzate da una compromissione dello sviluppo cognitivo possono presentare manifestazioni aggressive: sovente si tratta di agiti imprevedibili e repentini, apparentemente indipendenti da cause evidenti, benché anche essi debbano, almeno in parte, essere considerati come modalità comunicative di tipo pre- o paraverbale; non rari sono anche i comportamenti autoaggressivi sotto forma di automutilazioni.
In una posizione particolare si collocano i disturbi depressivi: sebbene in letteratura sembri esistere un sostanziale accordo circa la bassa frequenza di comportamenti eteroaggressivi riscontrabili in pazienti depressi, in confronto all’elevata frequenza di forme autodirette di aggressività, tuttavia in particolari sottogruppi di pazienti caratterizzati da elevati livelli di ansia, ostilità e rabbia (è il caso, per esempio, della cosiddetta depressione agitata) è invece possibile il verificarsi di improvvisi scoppi d’ira, fino a veri e propri agiti violenti. Non bisogna infine dimenticare che, da un punto di vista psicologico, lo stesso suicidio può essere considerato un agito con importanti valenze eteroaggressive.