Il tempo ontologico (kantiano) consiste nel fatto che, al di là di ogni contenuto cronologico e psicologico, è possibile per noi vivere, parlare, agire, in altre parole “essere-nel-mondo”, solo all’interno della sintesi di presente, passato e futuro, che è stata definita da Husserl e Heidegger l’espressione ontologica dell’esistenza.
Le modificazioni soggettive del tempo nella depressione sono estremamente significative e talora drammatiche: scompare il futuro, mentre sopravvivono il presente e soprattutto, appesantito e schiacciante, il passato. “In un tempo così trasformato nella sua configurazione e nella sua articolazione storica l’ombra del passato, e della colpa che si accompagna al passato, si estende e si allunga. Ogni evento è risucchiato e divorato dal passato, e non ha significati diversi da quelli già accaduti. Non avviene nulla di nuovo e di imprevedibile in una esistenza segnata dai suoi orizzonti e ipotecata dai suoi fallimenti” (Borgna, 1988). Anche lo spazio vissuto si restringe: il depresso lo occupa in modo sempre più limitato, con un corpo immobile in uno spazio immobile, rannicchiato in un suo angolo di esistenza.
Nella mania si verifica uno sconvolgimento non solo del tempo psicologico (il tempo vissuto), ma anche della categoria del tempo ontologico, con perdita del passato e del futuro, per cui il soggetto vive in un presente istantaneo e fulmineo: non può esistere una storicizzazione, perché tutto è vissuto, consumato, bruciato nell’istantaneità. Da questo punto di vista, secondo Binswanger, l’esperienza psicotica più destoricizzata è proprio quella maniacale, che vive solo l’istante del presente: una dimostrazione indiretta deriva dalla constatazione che non raramente, quando il paziente esce da questa fase, non ricorda buona parte delle esperienze vissute, proprio in quanto esperienze effimere, che mancano del passato e del futuro.
Inoltre il maniacale tende a occupare tutto lo spazio a disposizione, uno spazio che non è mai sufficiente: egli si disperde nel mondo, senza riuscire a soffermarsi in un punto; da qui l’insofferenza del soggetto a ogni forma di limitazione, di contenimento, che sanciscano la finitezza dello spazio a disposizione.
A proposito delle modificazioni dello spazio e del tempo nella mania, Daniele Cargnello (1977) ha scritto che essa «si costituisce espandendosi nell’esperienza di uno sconfinato spazio (diluito peraltro di significati, nessuno dei quali sembra innalzarsi apprezzabilmente e validamente sugli altri a far da remora al suo moto “espansivo”), così essa si temporalizza in un tempo veloce, rapidissimo, persino precipitante, costituendosi però nel momentaneo, in un “quasi nudo” presente in quanto quasi destituito (o molto impoverito) di ogni autentica valenza retentiva e protentiva, dunque in un mero presente, su cui non rifluisce se non in minima misura il già-stato e da cui non si anticipa validamente l’avvenire».