Deliri primari e secondari
Per quanto concerne i deliri primari, le vere e proprie idee deliranti secondo Jaspers (1959), “se tentiamo di accostarci meglio a queste esperienze, ci accorgiamo ben presto che non riusciamo a rendercele presenti, in modo evidente, in quanto per lo più ci sono completamente estranee. Rimane sempre un grande residuo di incomprensibile, di non evidente, di inconcepibile”. Invece i deliri secondari (o idee deliroidi) sono quelle tematiche deliranti “che risultano in modo comprensibile da altri processi psichici, che quindi possiamo ricondurre psicologicamente alle emozioni, alle pulsioni, ai desideri e ai timori. Per la loro spiegazione non abbiamo bisogno di presupporre una trasformazione della personalità, ma le comprendiamo piuttosto come una disposizione permanente della personalità o insorgenti in uno stato d’animo transitorio”.
Un caratteristico esempio di delirio secondario è sempre stato considerato quello che Ernst Kretschmer (1918) ha chiamato “delirio sensitivo di rapporto”: un delirio di tipo paranoico, scatenato da vicissitudini esistenziali vissute in modo traumatico da una persona con particolari tratti del carattere. “Si tratta di soggetti timidi, sensibili, spesso ansiosi e psicastenici (scrupoli, esitazioni, ecc.), inclini, particolarmente, ai casi di coscienza e sensibili alle reazioni altrui (iperestesia dei contatti sociali); inibiscono intensamente le proprie pulsioni e sono profondamente insoddisfatti” (Ey, Bernard e Brisset, 1960). Su questo ipersensibile “terreno di fondo” può scatenarsi la psicosi delirante: “Basta allora un qualsiasi evento psicotraumatico scatenante perché la malattia divampi. Deleterio a questo proposito è tutto ciò che brutalmente mette in luce la propria umiliante pochezza (…). Prendon forma idee deliranti, connesse con il trauma e la situazione di vita nel suo complesso (…)” (Bleuler, 1911-1960), con le caratteristiche di tematiche di riferimento e, talora, di idee compensatorie di grandezza.
Va puntualizzato che le dottrine psicoanalitiche non accettano la classica distinzione tra deliri primari e deliri secondari, in quanto l’idea delirante, per quanto apparentemente inderivabile, è considerata sempre l’espressione difensiva e psicodinamicamente comprensibile di pulsioni inconsce inaccettabili o la manifestazione regressiva di conflittualità arcaiche.
Come ha sostenuto Alberto Gaston (1987), “circoscritto nella definizione formale di disturbo del pensiero e bloccato nelle opposizioni oggettivanti di primario/secondario, derivabile/inderivabile, comprensibile/incomprensibile, il delirio perde così tutta la sua mobilità esistenziale e assume la stessa valenza sintomatica di una semplice febbre o di una banale infiammazione. Si separa così una complessa esperienza psichica dalla profondità dell’anima che l’ha generata”.
D’altra parte, già Freud (1937), aveva sottolineato che “la follia non ha soltanto un metodo (come già il poeta le riconosceva), ma contiene altresì un brano di verità storica; e ci vien fatto di supporre che la maniera coatta con cui si crede ai deliri derivi la sua intensità proprio da questa fonte infantile”; se si convincesse di ciò, allora il terapeuta “rinuncerebbe al vano tentativo di persuadere il paziente che il suo delirio è assurdo e contraddice la realtà; anzi, nel riconoscimento del nucleo di verità del delirio stesso si troverebbe il punto d’incontro sul quale il lavoro terapeutico potrebbe svilupparsi. Questo lavoro consisterebbe nel liberare il brano di verità storica dalle sue deformazioni e dai suoi agganci con la realtà del presente e nel riportarlo al punto del passato cui propriamente appartiene”.