Tossicodipendenza e psicanalisi
La maggior parte degli orientamenti psicoanalitici sottolineano l’importanza nel tossicodipendente di un disturbo della fase orale dello sviluppo libidico: la sua personalità si configura come “carattere orale”, definito da un ritorno, per cause traumatiche, a rapporti e investimenti della fase più precoce dello sviluppo, con conseguente ricerca di compensi e gratificazioni legati a un piacere di tipo incorporativo, peraltro mai totalmente soddisfatto.
Sul piano genetico della teorizzazione psicoanalitica, il futuro tossicodipendente, fissato a una fase incorporativa, ha sempre “bisogno di qualcosa” e la droga, a cui attribuisce le stesse caratteristiche di onnipotenza che il bambino attribuisce al seno materno, diventa sostanza vicariante il bisogno.
La fissazione alla fase orale comporta, sul piano energetico adattativo, una prevalenza di meccanismi difensivi e di rapporti d’oggetto grezzi, conseguenti all’incapacità di differire il bisogno di soddisfazione pulsionale, caratteristici dei primi stadi di sviluppo.
Fra i meccanismi di difesa, l’isolamento e la negazione impediscono ogni elaborazione retrospettiva di eventi anche altamente drammatici, come può essere l’overdose. Nel comportamento dei tossicomani alcuni autori constatano la tendenza a tornare a ripetere molte volte schemi di comportamento chiaramente fallimentari; essi avrebbero la tendenza a metastoricizzare una situazione di scacco e di crisi, ritualizzandola attraverso la ripetizione.
I rapporti d’oggetto stabiliti dal tossicodipendente ricalcano un antico e indifferenziato bisogno di amore; in tal senso questi potrebbe amare le persone solo investendole di funzioni nutritive tipicamente materne e solo a patto di trovare in esse un’inesauribile disposizione al sacrificio (Giberti e Rossi, 1983).
Non tutti gli autori concordano sul fatto che la droga rappresenti un investimento oggettuale compensatorio di precedenti investimenti libidici non soddisfacenti, oppure la realizzazione simbolica di oggetti indispensabili venuti a mancare; bisogna infatti tenere conto del difetto strutturale globale della personalità del tossicodipendente, che, come detto, origina in una fase precoce dello sviluppo. La droga, da questo punto di vista, non dovrebbe essere considerata in un contesto di scelte oggettuali, bensì “un pre-oggetto fantasmatico sul quale l’individuo non è in grado di operare investimenti sulla base di un desiderio. (…) La droga è uno dei possibili oggetti transizionali, si caratterizza, cioè, come oggetto completante un difetto di struttura di un apparato che altrimenti non può funzionare” (Furlan e Bisacco, 1974).
Nell’iter del tossicodipendente si realizza una regressione a dinamiche infantili, anche per effetto lesivo diretto della sostanza, che, in fasi avanzate, finisce inevitabilmente per intaccare le funzioni egoiche e superegoiche: “il Super Io, impotente a orientare in modo consono l’Io, sembra spingere a una compiacente, narcisistica, a volte delirante e allucinata autopunizione. (…) Un ritorno a uno stadio infantile di una parte delle funzioni psicologiche, perché un’altra parte resta legata alla sua attuale realtà: egli è colpito da una scissione tra i suoi sentimenti (regrediti all’infanzia) e le sue facoltà percettive e fattuali (rimaste stabili), il che determina una cronica infatuazione non modificabile dal ragionamento e dalla critica. Si avvicina molto a una situazione di un’incapacità di volere e non d’intendere” (Furlan e Picci, 1990).