Le motivazioni dell’aggressività
Una distinzione simile a quella di Feshbach (1964), che ha suddiviso le manifestazioni aggressive in ostili, strumentali ed espressive, è quella di Gulotta e Merzagora Betsos (2005), che la classificano in predatoria, strumentale e affettiva.
L’aggressività di tipo predatorio comporta azioni pianificate ed espletate senza il sopravvento di emozioni come la rabbia. È lo stesso tipo di aggressività che si può riscontrare negli animali durante la caccia; la sua riuscita è tanto maggiore quanto lo è la programmazione della strategia e la freddezza nell’esecuzione. Secondo l’autore, questo tipo di aggressività, principalmente attuata verso persone estranee, è stata spesso associata al modus operandi dei serial killer.
L’aggressività strumentale “viene coscientemente estrinsecata da soggetti che intendono raggiungere un determinato obiettivo, senza voler necessariamente nuocere a qualcuno che, suo malgrado, diviene accidentalmente vittima”, come accade per esempio nelle forme di violenza esibita durante una rapina; a differenza della precedente (con cui condivide un meccanismo di isolamento dall’affetto), quella strumentale presenta un’analisi cosciente e finalizzata delle proprie azioni, volte, per esempio, all’arricchimento.
L’aggressività affettiva è definita come “istintiva, reattiva e difensiva”, in quanto presenta generalmente una limitata pianificazione, insorge spesso come reazione a una minaccia (reale o presunta) ed è caratterizzata da un coinvolgimento emozionale intenso di rabbia e paura: da questo punto di vista, si colloca al polo opposto rispetto a quella strumentale. Soltanto in una circostanza è possibile riscontrare aggressività affettiva espressa in maniera pianificata, ed è il caso della vendetta premeditata.
In precedenza, Scott (1972) e Reis (1974), avevano operato una distinzione fra aggressività reattiva e aggressività proattiva. La prima si contraddistingue per una forte reazione del sistema nervoso autonomo, la cui risposta è innescata dalla rabbia, dalla paura, dall’istinto di conservazione o dal forte desiderio di liberazione dall’evento stressante; si tratta di un’aggressività impulsiva, determinata da un’eccitazione momentanea. La seconda si caratterizza invece per una scarsa attivazione dell’arousal o dell’irritazione e risulta ben organizzata in funzione dell’obiettivo da raggiungere; essa è tipica del “prepotente”, del “bullo”, che reitera con una relativa frequenza comportamenti negativi, selezionando attentamente la persona da opprimere e rivolgendo a essa sistematicamente la propria attenzione.