Benché la presenza di sintomi di attivazione nella depressione fosse già stata evidenziata da Ippocrate e da Areteo di Cappadocia (Zilboorg e Henry, 1941), attualmente la “depressione agitata” ha perso la sua collocazione nosologica, in quanto i sistemi classificatori (DSM-IV-TR e ICD-10) non la riconoscono come sindrome distinta dalla depressione maggiore; considerano anzi equivalenti l’agitazione e il rallentamento psicomotorio (come, per altro, l’insonnia e l’ipersonnia, l’aumento o la diminuzione dell’appetito). Invece, il riconoscimento di tale quadro clinico, caratterizzato da ansietà, ostilità e attacchi di rabbia, secondo non pochi autori, sembra avere significative implicazioni prognostiche e terapeutiche, come evidenziato dalla necessità di ricoveri più lunghi, dalla presenza di un elevato rischio suicidario, nonché dell’opportunità, almeno in prima battuta, di terapie sedativo-stabilizzanti (antipsicotici di nuova generazione, litio e antiepilettici, benzodiazepine) e solo in un secondo momento, eventualmente, di farmaci antidepressivi.
Al di là dell’esistenza, per quanto concerne la depressione agitata, un altro aspetto problematico è fornito dalla specificità: una questione aperta è se essa sia da considerare una particolare condizione depressiva o piuttosto uno stato misto: per Musetti et al. (1999), generalmente “la presenza di agitazione configura, più che una varietà fenomenica di depressione, uno stato misto attenuato, in cui sono contemporaneamente presenti sintomi depressivi ed espansivi”.
Infine, nella depressione maggiore con attacchi di rabbia è descritta la prevalenza di disturbi di personalità, in particolare del dramatic cluster ; ma è a tutt’oggi irrisolta la questione se si tratti di una vera comorbidità o di una particolare espressività del quadro depressivo nei disturbi di personalità.
Ecco come Aaron T. Beck (1967) descrive il quadro della depressione agitata: il soggetto “non riesce a stare seduto fermo, ma si agita continuamente sulla sedia. Egli manifesta un senso d’irrequietezza o agitazione torcendo le mani o il fazzoletto, strappandosi gli abiti, tormentandosi la pelle, serrando o riaprendo le dita. Può grattarsi la testa o altre parti del corpo fino a lacerarsi la pelle. Nel corso di un colloquio può alzarsi più volte dalla sedia e misurare a lenti passi la stanza. Di notte può alzarsi spesso dal letto e camminare incessantemente avanti e indietro. Impegnarsi in un’attività costruttiva gli è altrettanto difficile quanto restare fermo. La sua agitazione si manifesta anche con frequenti gemiti e lamenti. (…) Il contenuto dei pensieri del paziente rallentato sembra concentrato sulla rassegnazione passiva al suo destino. Il paziente agitato, invece, non riesce ad accettare o a sopportare la tortura che immagina. Il comportamento dell’agitato sembra rappresentare un tentativo disperato di allontanare la condanna incombente”.