Gli stati crepuscolari e gli stati oniroidi
Negli stati crepuscolari, il paziente ha ristretta consapevolezza del comportamento, che sovente è ordinato e logico (la psicomotricità può essere normale oppure alterata nel senso di una esaltazione o diminuzione); “in questa fase, se riesce di osservarli, danno quasi sempre nell’occhio per lo stato di abnorme distanza da se stessi, per lo stato di eccitamento o di apatia, ma talvolta ciononostante riescono a servirsi con profitto anche dei mezzi di trasporto, a fare viaggi in compagnia di altri, persino visite a congiunti, senza che alcuno si avveda del loro stato”: si tratta dei rari “stati crepuscolari orientati” secondo Eugen Bleuler. La rievocazione del ricordo dei vissuti diventa sempre meno precisa con il passare del tempo dall’accaduto o è per lo più impossibile.
Gli stati crepuscolari possono caratterizzare quelli che nel DSM-IV-TR sono chiamati Disturbi Dissociativi e che sostanzialmente corrispondono alla Nevrosi Isterica di tipo dissociativo della nosografia classica. Per Ey, Bernard e Brisset (1960) «lo stato crepuscolare isterico consiste in un declino della coscienza vigile, con inizio e fine bruschi, che può andare da un semplice obnubilamento fino allo stupore e comporta un’esperienza semicosciente di depersonalizzazione e di estraneità, generalmente centrata su una “idea fissa”».
Una forma particolare di questi disturbi è la sindrome di Ganser, un’entità clinica controversa, attualmente classificata dal DSM-IV-TR come Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato, caratterizzato da “fornitura di risposte di traverso alle domande (per es. 2 più 2 uguale a 5) quando non associata con Amnesia Dissociativa o con Fuga Dissociativa”. Lo psichiatra tedesco S. J. M. Ganser descrisse la sindrome eponima nel 1898 in tre detenuti che erano stati ospedalizzati per problemi psichiatrici e che si differenziavano in base al grado di compromissione dello stato di coscienza: “Il primo dava un’impressione di stupore e aveva notevoli preoccupazioni allucinatorie. Il secondo dava l’impressione di un blocco completo, mentre il terzo presentava una coscienza chiara”; i pazienti presentavano, in associazione, sintomi di tipo conversivo, quali analgesia o ipoalgesia.
Le posizioni tassonomiche circa la sindrome di Ganser hanno evidenziato negli anni notevole variabilità, in sintonia con le caratteristiche psicopatologiche del quadro clinico: si va dall’ipotesi di uno stato crepuscolare isterico a una condizione di simulazione per evitare conseguenze penali, fino alla teoria di una psicosi transitoria; una situazione di incertezza e confusione che non raramente finisce per ripercuotersi gravemente in ambito medico-legale.
Un maggior grado di destrutturazione dello stato di coscienza caratterizza gli stati oniroidi, che possono comparire in quelle che classicamente venivano descritte come “psicosi confusionali”, quadri cerebrali organici, sovente di natura tossica. Caratteristici, a questo proposito, sono gli effetti della dietilamide dell’acido-d-lisergico, un potentissimo allucinogeno sintetizzato nel 1938 da Jacobs nei laboratori della Sandoz: il 19 aprile 1943, il chimico Albert Hofman, che gli aveva assegnato l’identificativo LSD-25 lavorando sugli alcaloidi della segale cornuta (un parassita delle graminacee, già responsabile della diffusione di quadri caratterizzati da prevalenti disturbi psichici) ne venne a contatto e ne scoprì il potente effetto allucinogeno: una sindrome allucinatoria visiva con percezioni inusuali, sinestesie sensoriali e stato oniroide.
Le manifestazioni degli stati oniroidi sono state accuratamente descritte dalla psichiatria francese: “Uno dei caratteri più importanti dell’onirismo è l’adesione del confuso al suo delirio. Il delirio è vissuto, il soggetto ne è totalmente coinvolto. (…) Le immagini dell’onirismo sono mobili, caleidoscopiche, qualche volta caoticamente rapide come quelle di un film incoerente (…). Clinicamente l’onirismo si rivela come sintomo, nel comportamento del malato terrorizzato o fascinato dalle visioni. Lo si può sorprendere mentre, attento, guarda lo svolgimento di scene immaginarie (…). Ma in estasi o spaventato che sia da queste esperienze, il malato non rivela per intero il filo conduttore; il più delle volte, parla e commenta ciò che vede; mentre in qualche caso, solo successivamente ne dà un racconto” (Ey, Bernard e Brisset, 1960).