Aggressività e disturbo antisociale di personalità
Da sempre è stata riconosciuta una stretta correlazione fra agiti aggressivi, o francamente violenti, e disturbo antisociale di personalità, una categoria diagnostica erede delle vecchie “psicopatie” e “sociopatie” (la diversa nomenclatura riflette l’accento differente posto sull’importanza di fattori individuali o sociali alla base di questa patologia) che, tuttavia, non sembra aver completamente superato la vecchia concezione e soffre, a tutt’oggi, di una certa confusione diagnostica.
Tradizionalmente i tratti affettivi e interpersonali come l’egocentrismo, la disonestà, l’affettività piatta, la manipolazione, l’egoismo e la mancanza di empatia, senso di colpa o rimorso, hanno rivestito un ruolo centrale nella concettualizzazione e nella diagnosi della psicopatia (Hare, 1991;1993).
Nel 1980, con la pubblicazione del DSM-III, la psicopatia venne ribattezzata “disturbo antisociale di personalità” e fu definita come una violazione persistente delle norme sociali che include la mendacità, il furto, le assenze ingiustificate, il comportamento lavorativo inadeguato e l’arresto. Venivano in tal modo evidenziate le problematiche comportamentali, a discapito delle caratteristiche affettive e relazionali, presenti nella precedente definizione di psicopatia.
La distinzione rimane poco chiara anche nell’ultima versione del DSM, nel quale il disturbo antisociale (che si precisa essere conosciuto anche come psicopatia) contiene, oltre ai comportamenti specifici, che tratteggiano sostanzialmente la classica figura del delinquente, anche riferimenti alle caratteristiche affettive e interpersonali tipiche della psicopatia. Per il DSM-IV-TR (2000), infatti, la personalità antisociale è definita sulla base di “un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri che si manifesta fin dall’età di 15 anni”, specialmente per quanto riguarda il “conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili d’arresto”.
Nello stesso tempo viene puntualizzato che questo tipo di personalità è caratterizzato da una forte impulsività o incapacità di pianificare, frutto di un insufficiente controllo sugli impulsi che vengono tradotti immediatamente in azione. L’aggressività e l’irritabilità di questi soggetti, tradotte in scontri o assalti fisici ripetuti, sono aggravate da una tendenza all’irresponsabilità circa le proprie azioni che si manifesta sia prima dell’agito violento (mancanza di riflessione sulle possibili conseguenze), sia dopo (assenza di rimorso e tendenza alla negazione e alla proiezione).
L’elevata abilità manipolatrice e la mancanza di empatia, insieme a un “Io grandioso”, sembrano definire un continuum con il disturbo narcisistico e non è un caso che, a questo proposito, Kernberg (1992) abbia descritto un gruppo di pazienti collocabile a metà fra i due disturbi, delineando la sindrome del “narcisismo maligno”, definita dalla combinazione di un disturbo narcisistico, di un disturbo antisociale, di un’aggressività egosintonica o un sadismo rivolto verso gli altri o espresso tramite un tipo di automutilazione trionfante o tentativi di suicidio e, infine, di un forte orientamento paranoide, pur nella possibilità, per questi soggetti, di nutrire alcuni convincimenti morali.
Nonostante i molteplici tentativi di inquadramento diagnostico, rimangono tuttavia alcuni dubbi sulla validità nosografica di un disturbo che, essendo definito soprattutto sulla base di un comportamento socialmente deviante, crea un’ampia zona di sovrapposizione con la comune popolazione criminale.